Cosa si intende per educazione emotiva? Come impatta nella vita dei più giovani? E’ uno dei temi principali dell’azione dei promotori dell’associazione Fermiconlemani di Bari. Se ci insegnassero fin da piccoli ad apprendere e sviluppare la nostra intelligenza emotiva, cioè l’abilità di «riconoscere, gestire e ristrutturare le emozioni saremmo più pronti a gestire le emozioni negative che fanno male alla salute.
Una delle attività utili che può renderci consapevoli, più capaci di frenare gli eccessi, più preparati agli eventi della vita è quella della lettura di storie vere, storie di donne e di uomini che affrontano la vita in modi diversi dai nostri oppure così incredibilmente simili da immedesimarci nel loro vissuto traendo spunti di riflessione. Ecco il racconto proposto dalla Prof.ssa Paola Colarossi, socia onoraria di Fermiconlemani.
“Di baci e carezze rivestirò la tua pelle”
Pamela ha gli occhi neri, un viso magro e lungo, qualche lentiggine sul naso, piccolo e delicato, una lunghissima massa di capelli corvini che le scivola lungo la schiena.
Esile e flessuosa, quasi un giunco elegante, se ne sta silenziosa. Ogni tanto le brillano gli occhi e si protende in avanti per intervenire. Quasi sempre, un attimo dopo, ritorna a poggiare le spalle sulla seggiola e a distaccarsi dal resto.
Una volta o due ha socchiuso le labbra e qualche sommessa parolina è emersa, incomprensibile tanto il tono della voce era basso ma lei, prontamente, ha riarrotolato la lingua e l’ha ringoiata, riportandola giù, nell’abisso in cui tiene in custodia le sue parole.
Ha imparato a tacere.
Ce ne ha messo di tempo ma ora ci riesce benissimo e anche quando loro, le parole, tentano di scappar via, lei sa riprenderle con una velocità fulminea.
-Sei stupida? – le diceva sua madre quando parlava, quando chiedeva.
– Ma come fai a non capire? – Le ripetevano a scuola.
– E mi raccomando; io ti porto con me ma tu non farmi fare brutte figure. Taci. Sorridi e al massimo annuisci con il capo – erano le raccomandazioni di suo marito
Quante cene in silenzio con quel fare ebete sul volto. Quante serate perse, inseguendo i discorsi, noiosi , degli altri.
Quanti falsi sorrisi.
E quante battute pesanti, se lei dimenticava i consigli e tentava di intervenire con un commento; magari un appunto.
- Sei stupida?- le dicevano ancora una volta quegli occhi torvi.
E quei ritorni in auto…fiumi di parole gridate, insulti e poi silenzi,
Sciabolate, una dopo l’altra.
Fino alla volta in cui era arrivato quel ceffone. Cos’era successo?
Ah si, ora ricordava….una cena di colleghi; persino il capufficio, quello fighetto del nord con la compagna cinquantenne liftata e pompata a puntino, che sembrava andasse in giro dicendo “ questa qui, te , te la puoi solo scordare! Un pezzo di questa qui vale tanti di quei soldini che te non li metti insieme neanche con le tredicesime di una vita, caro il mio impiegatuccio “
E tutti quegli impiegatucci che ci sbavavano veramente dietro a quella lì, dimenticandosi delle loro gentili consorti formato famiglia, fianco arrotondato dalle gravidanze e addome rilassato perché “vorrei andare in palestra ma a chi li lascio i bambini?”
Beh, quella sera lì, Pamela si era lasciata andare.
Lei era giovane, ancora in forma e ci poteva competere con quella lì; alla grande ci poteva competere e poi erano capitate pure vicine a tavola e quella faceva la smorfiosa, diceva e ridiceva , se la tirava veramente tanto e allora lei aveva fatto quel commento sull’età, sulla giovinezza che non si può comprare, sull’essere vere…
Insomma era stata sincera, cavoli, per una volta che sarà mai.
Ma il capufficio aveva storto il muso, perso il ghigno spavaldo e l’impiegatuccio di suo marito, spaventato all’idea di ripercussioni sulla carriera, non aveva gradito l’eccesso di libertà.
SBAMMMM, un sonoro riverso, appena soli, aveva accompagnato il solito commento:” Sei stupida?”
Il sangue caldo le era colato sulle labbra, gocciolato velocemente sulla gonna. Bianca per giunta.
-Cazzo – pensò- ci ho rimesso pura la gonna nuova. Fanculo. Meglio se stavo zitta.
E così, giorno dopo giorno, aveva imparato a tacere. A stare lì,muta. Taciturna presenza.
E poi, in uno dei suoi silenziosi pomeriggi casalinghi, persa su facebook, aveva incontrato Nasrin. Un velo bianco che sventolava , avvolgendole la testa, un naso forte a differenza del suo, un volto magro, tutto sommato bello.
La sua attenzione fu catturata dalla didascalia in grassetto “ Iran: condannata a 38 anni e 148 frustate Nasrin Sotoudeh, avvocatessa…”
Fu un colpo al cuore. Forte. Inspiegabilmente forte.
Chi fosse quella donna, lei non lo immaginava nemmeno.
- Cosa aveva mai potuto combinare per meritare una condanna simile?-
La sua mano si era mossa rapida, un click fulmineo aveva aperto la schermata e l’articolo era sotto i suoi occhi. Lo divorò e per un po’ rimase agghiacciata a lasciare che il senso di quello che stava leggendo entrasse in connessione con i suoi neuroni.
Nasrin, definita come l’avvocatessa più famosa nella difesa dei diritti umani, era stata riconosciuta rea di patrocinare la causa di alcune donne, che sfidando le regole del buon costume vigenti nel loro paese, si erano presentate a capo nudo tra la gente , ribellandosi all’obbligo di indossare i loro hijab.
Sventolando in segno di protesta immacolati fazzoletti bianchi, esprimevano il rifiuto di una legge che vuole le donne modeste e sottomesse; che classifica impure, donne che osano mostrare i capelli, segno delle loro bellezza, il demone attraverso cui attentare alla spiritualità propria e altrui.
Le accuse, per lei, andavano dall’ istigazione alla prostituzione a quella di cospirazione contro lo stato, di spionaggio .
Continuò a leggere, Pamela; aprì nuove pagine, fintanto che lesse quelle parole VOGLIONO METTERLA A TACERE .
SBAMMM, la sua faccia vibrò nuovamente al ricordo di quello schiaffo, quell’unico schiaffo che era bastato a chiuderle la bocca.
E pensò a quelle 148 frustate,
- Quanto faranno male, 148 frustate? –
- Tanto da ridurre a morte un essere umano – c’è scritto.
E Naszim non si è fermata. Ha continuato a parlare, ad agire perché ognuno sia libero di essere ciò che crede.
E lei?
E improvvisa comparve nella sua mente l’immagine di quella macchia di sangue sulla sua gonna bianca. E della sua rabbia per quella macchia…
Alla gonna , aveva pensato. Alla sua gonna nuova.
Cosa era accaduto?
Ricordava la bambina che sognava di fare la ballerina, andare in giro per il mondo, nei teatri, volteggiando leggera.
E suo padre che la guardava e spegneva i suoi sogni: “sei stupida? Tu in giro, mezza nuda, con le mani degli uomini addosso?
-La maestra devi fare. Quello è un buon lavoro per una donna-
E lei, si era iscritta alle magistrali, così si chiamavano allora, dalle suore. Con altre femmine. Senza maschi intorno.
Era stato un susseguirsi di passi indietro rispetto ai suoi sogni; ogni traccia di dignità era stata annullata, cancellata, con un lavoro certosino; e lei aveva consentito che questo accadesse. In silenzio.
Frustata giorno dopo giorno con quegli sguardi, quelle parole, quelle continue critiche; offesa continuamente .
La sua pelle , ormai ridotta a brandelli, aveva lasciato scappar via l’anima e al suo posto ora c’era spazio , tanto spazio, Vuoto.
Abbassò gli occhi, Pamela, verso la sua pelle, apparentemente intatta e quasi senza accorgersene, cominciò a carezzarsi; Le mani si cercarono lente, si poggiarono sulle ginocchia e scesero verso i polpacci, mentre il capo si piegava a cercare l’avambraccio, turgido . Piccoli schiocchi di labbra a suggellare il suo amore per lei, a ricompensarla del dolore, a cancellare il dolore, come facevano quando era piccola e bastava un soffio e un piccolo bacio per portar via la bua….
E nella sua mente l’immagine di quella donna imprigionata in attesa che il sadismo di quei giudici, che lo spirito demoniaco di quei maschi arroganti , si esprimesse nell’atto della pubblica punizione ; cominciò a piangere sommessamente e ad accarezzare la pelle di Nasrin, a stringerla a sé nel suo abbraccio, a soffiarle sulla pelle il suo amore .
Ed era come se ora fossero carne della stessa carne, fuse.
Fu allora che il coraggio di Nasrin si impossessò di lei; fu allora che sentì dentro di sé un fremito crescere; una rabbia mai completamente sopita la riavvolse .
–Nessuno osi toccarla. – gridò all’universo, facendo rimbombare le pareti di quella casa.
Si alzò di scatto, si asciugò le lacrime e corse nella sua stanza. Rovesciò le sue cose sul letto, pescandole furiosamente da cassetti, armadi, da quanto c’era in giro. Prese al volo borsoni, valigie e ficcò tutto dentro. Poi la vide; una lunga custodia bianca, dimenticata nell’armadio.
Fece scorrere velocemente la cerniera e dalla gruccia sottrasse il lungo velo bianco del suo abito da sposa. Lo prese e lo andò ad annodare alla ringhiera del balcone del salone, quello che dava sulla strada principale. Un leggero venticello spirava e il movimento leggiadro di quel pezzo di stoffa sembrava il segno che l’Universo intero spirasse in suo favore.
Sorridendo, prese le sue cose, se le caricò sulle spalle e si chiuse il passato dietro di sé.”
Storia commovente raccontata dalla Professoressa Paola Colarossi, socia onoraria di Fermiconlemani, docente di matematica, scrittrice.