L’amministrazione di sostegno è un istituto fondamentale che aiuta persone in condizione di fragilità, temporanea o permanente, grazie ad un professionista individuato dal beneficiario, dai parenti o da un giudice. Spesso, però, bisogna risolvere conflitti familiari per il bene dell’interessato, come spiega l’avvocata Gabriella Panaro nella sua nota.
Una delle più grandi difficoltà che un amministratore di sostegno può incontrare nello svolgimento del suo incarico è quella di trovarsi nel bel mezzo di conflitti tra i familiari del beneficiario. Si tratta, magari, di questioni irrisolte da anni, dispute patrimoniali o semplici nodi che nessuno si è preoccupato di sciogliere e che arrivano, una volta per tutte, al pettine.
Il conflitto può raggiungere il suo apice proprio per la scelta del professionista da incaricare quale amministratore di sostegno. Il sospetto, come è chiaro che sia, si annida nella gestione economica delle disponibilità della persona beneficiaria, tuttavia evidenzia, in base alla mia esperienza, contrasti di una vita che non si riescono a superare neanche di fronte alle difficoltà di una persona cara.
Si è rivolta al mio studio una signora, all’inizio molto sospettosa e diffidente, con problemi personali importanti, per parlarmi della situazione che coinvolgeva la madre e la sorella.
Mi ha riferito, portandomi anche dei documenti, che la madre avesse bisogno di un aiuto, tenuto conto delle sue malattie, e che non fosse ben assistita dalla sorella e dalle badanti. Mi ha raccontato la forte conflittualità che esisteva nei rapporti con la sorella che la considerava inadatta a svolgere un ruolo di affiancamento della madre.
Un aspetto centrale per la mia attività di amministratrice di sostegno è l’ascolto, perché devo capire se quello che mi viene detto è frutto di un animo ormai ferito dalle continue liti familiari, oppure c’è davvero bisogno del mio intervento per predisporre l’istanza per al nomina. Così facendo, infatti, sarà un professionista, sempre un estraneo, ad entrare nella vita di una persona e questo non è mai semplice.
Alla fine, questa signora si è aperta con me, mi ha spiegato che c’erano effettivamente delle problematiche da risolvere nell’esclusivo interesse della madre, per farla vivere meglio. Subito dopo ho visionato i documenti medici e mi sono resa conto che, effettivamente, c’erano delle patologie serie che avevano colpito la madre.
Dopo quale giorno di riflessione, ho comunicato alla signora che ero disposta a presentare l’istanza al Tribunale affinché venisse nominato l’amministratore di sostegno.
Il giudizio si è svolto secondo le regole normali e il Giudice ha deciso di nominare un medico psichiatra per valutare se, effettivamente, la madre della mia assistita avesse bisogno dell’assistenza di un amministratore di sostegno. Aggiungo che la sorella della mia assistita era fortemente contraria a questa nomina, perché ritenuta “inutile” vista l’esistenza di una rete familiare assai compatta ed efficiente.
Il tutto è stato rimesso nelle mani del medico nominato dal Giudice.
Ebbene, dopo aver svolto numerosi esami sulla anziana madre della mia assistita, è stata giudica assolutamente fondata la richiesta da me avanzata e dichiarato che, tenuto conto del livello medio alto di deficit mentale della signora, era “fortemente raccomandabile” la nomina di un amministratore di sostegno.
Le vittorie fanno sempre piacere ma, in questo caso, non mi ha reso per nulla felice. Non sono procedure come le altre: nell’amministrazione di sostegno si tratta di storie, di vite fortemente pregiudicate da patologie, fisiche o mentali che siano, che impediscono di godere appieno della vita. Ho comunicato l’esito della causa alla mia assistita con la speranza che si ponesse fine alla conflittualità fra parenti, soprattutto per permettere alla madre delle due signore di vivere finalmente in pace e al meglio.